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Francesco e Giacinta, bambini che annunciano il Cielo

Sr. Ana Luísa e Sr. Ângela Oliveira, asm

Gli fu dato di assaporare il Cielo. Francesco e Giacinta fecero esperienza di ciò che c’è di più bello nell’esistenza umana: l’incontro con Dio. Attraverso le mani della Signora piena di luce, impararono «quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, a conoscere l’amore di Cristo» (Ef. 3,18) e a non voler mai più uscire da questo amore. Così come avevano appreso a gustare il dolce e a chiamare amaro ciò che così gli sembrava, ora, dopo aver sperimentato quella luce che li penetrava nell’intimo dell’anima, appresero ad apprezzare e a distinguere con maestria ciò che aveva il bagliore di Dio.

Una volta che si è fatta esperienza del Cielo, è (sopra)naturale che la vita risultasse amara senza questo marchio divino. Le ghiande della serra che trovavano sul percorso fatto con il gregge rendevano bene la metafora; mangiandole sperimentavano l’amarezza della lontananza da Dio che i “poveri peccatori” dovevano sentire. Era proprio per questa amarezza che Giacinta non perdeva occasione di offrire un sacrificio “per convertire i peccatori”.

Questo semplice gesto diventa un segno di affidamento e di intercessione per questa umanità ferita che tanto amavano.

I singhiozzi e i capricci della figlia più piccola dei Marto o il “non ti preoccupare” spensierato di suo fratello Francesco prima delle apparizioni si dissolvono davanti all’impegno assunto per la salvezza di tutti.

È necessario pregare, pregare tanto perché la preghiera è forza più grande di tutte le armi. L’angustia della guerra che si viveva all’inizio del XX secolo così come tutte le inquietudini eterne che abitano il cuore umano, l’apparente non senso della sofferenza e della morte, i propri limiti e la disillusione del mondo, infine la condizione umana invocava la pace.

Il Cuore Immacolato di Maria si manifesta a Fatima, precisamente come risposta a questa invocazione. Se a un figlio che chiede pane, diamo pane e non pietre, «quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!»(Lc 11,13).

Il Cuore materno della Vergine Maria ci è dato come rifugio e cammino verso Dio. Giacinta abbraccia questo dono di Dio con l’entusiasmo proprio dei bambini che rimangono incantati per il bello e per il buono, ma anche per la maturità della discepola inviata.

Poco tempo prima di andare all’ospedale, dove sarebbe morta, Giacinta diceva a Lucia: “S’io potessi mettere nel cuore di tutti il fuoco che mi brucia qui nel petto e mi fa amare tanto il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria!”(III 129).

Avvolti in questa atmosfera, Francesco e Giacinta entrano nella linea degli amici di Dio che Lo ascoltano e Lo seguono dove Egli vuole che vadano. Francesco è un bambino affascinato da Dio: “Noi stavamo ardendo in quella luce che è Dio, ma non ci bruciavamo! Come è Dio!!!” (IV 144).

Lo vediamo scoprire, commosso, che può consolare, riparare, fare comunione con questo Dio. Lucia andava a scuola, ma lui rimaneva con il Suo Amico, in Chiesa, come se il tempo, lo spazio della sua breve esistenza nella terra non potessero avere altro fine se non quello di stare tutto, interamente, davanti al suo Dio e amico.

La preghiera insegnata dall’Angelo pregata infinite volte, “Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, Vi adoro profondamente…” divenne il ritmo del suo cuore. Ogni momento, ogni gesto erano espressioni di una vita con Lui. Mai senza di Lui. Fino alla fine. Qualcuno diceva: “Sembra, entrando nella stanza di Francesco, di sentire quel che si sente entrando in Chiesa” (IV 186).

La fragilità e l’incostanza propria dell’infanzia non fanno parte della descrizione di questi due bambini. Piccoli maestri perché appresero dalla Maestra del mistero di Dio, Francesco e Giacinta ci parlano di una vita trasfigurata. Radicati in Dio e nel Cuore Immacolato di Maria, ci guardano fermi nella fede, con il rosario tra le mani.

Nell’evolversi silenzioso e discreto dei misteri di Dio, nascosti nella recita di ogni Padre Nostro e di ogni Ave Maria, consolano Dio e trasformano il mondo, mentre il loro cuore è plasmato fino a che Cristo sia formato in loro.

Oltre ad essere la preghiera dei semplici, il rosario è lo strumento che semplifica la vita. Così fu per Francesco, quando a maggio gli venne detto di pregare molti rosari: “O Madonna mia! Rosari ne dico quanti ne volete!” (IV,138)

Nei santi Francesco e Giacinta Marto, i più giovani nella Chiesa, la santità si delinea come novità radicale e questo rientra nella tipicità di Dio. Bambini umili ci sorprendono nella fedeltà di coloro che mai accettano alternative ai piani amorosi di Dio. Consolatori e intercessori, riconosciuti con gratitudine e venerazione sono oggi, a modo del Risorto, segno del trionfo della vita e del bene e annunciatori del cielo.

Ana Luísa Castro, asm e Ângela Oliveira, asm

Questo articolo è stato originariamente pubblicato nel giornale Voz da Fátima il 13 maggio 2017.